Il Revd. Austin K. Rios
18 dicembre 2022: La Quarta domenica di Avvento

Forse è perché sono nato nel suo giorno santo, o forse è solo perché sappiamo così poco altro su di lui, ma ho sempre avuto un debole nel mio cuore per Giuseppe.

Tra una settimana celebreremo la nascita di Gesù e ringrazieremo per il suo arrivo sia come figlio di Maria che come figlio di Dio.

Sarebbe stato comprensibile che Giuseppe fosse assente dai presepi che segnano questa stagione dell’anno.

Chi di noi avrebbe accettato il racconto di Maria su questa miracolosa gravidanza?

La Scrittura dice che Giuseppe era pronto a congedarla in silenzio, il che era già una dimostrazione di grande misericordia secondo la pratica comune del suo tempo.

Avrebbe potuto portarla in giudizio e vederla lapidata per infedeltà: una svolta crudele considerando che è stata la fede a metterla in questa posizione in primo luogo.

Ma Giuseppe che, posso solo immaginare, amava così profondamente Mary, decise invece di andare avanti con la sua vita.

Poi è arrivato il sogno.

“Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere Maria come tua moglie”.

Le risonanze scritturali di questo momento nel Vangelo di Matteo sono intenzionali.

Dobbiamo ricordare il sogno di Giacobbe della scala che collega il cielo e la terra, i sogni di Giuseppe figlio di Giacobbe che predicevano festa e carestia e lo resero un appuntamento fisso della corte di Faraone, e tutte le altre apparizioni angeliche durante la storia della salvezza.

In quanto figlio di Davide, Giuseppe sarebbe stato a conoscenza delle parole del profeta Isaia rivolte al suo antenato Acaz, e del modo in cui la linea davidica fu messa a repentaglio dalle azioni paurose invece che fedeli di Acaz.

La promessa dell’Emmanuele, Dio con noi, si mosse nel cuore e nell’anima di Giuseppe, e come umile rappresentante della casa di Davide, scelse di rispondere con fede invece che con paura.

Il significato della sua scelta non può essere sottovalutato.

Se avesse lasciato Mary da sola a badare a se stessa, c’è una buona possibilità che la tensione avrebbe messo in pericolo la gravidanza.

E anche se il bambino fosse nato, come avrebbero potuto sopravvivere madre e figlio senza la possibilità di lavorare e provvedere ai bisogni primari?

Ciò che Giuseppe scelse di fare in quei momenti in seguito al suo sogno fu di rivendicare questo figlio della promessa come suo.

Non importa chi fosse il padre biologico, non importa cosa amici, parenti e la folla potrebbero dire di lui e Mary se sapessero la verità.

Giuseppe adottò Gesù come suo e il mondo intero cambiò come risultato della sua fedele scelta.

Ora tutti i presepi e le cartoline di Natale hanno un Giuseppe e, cosa più importante, il figlio di Dio nato da Maria sarebbe anche conosciuto come figlio di Davide.

L’adozione è una potente metafora per noi cristiani.

Siamo un popolo che può guardare indietro al modo in cui Dio ha SEMPRE scelto di essere in relazione con l’umanità attraverso gli alti e bassi, la calda e fredda storia di Israele.

Siamo un popolo che sa di essere innestato nel Corpo di Cristo per grazia, non per la dignità dell’eredità umana e delle linee di sangue.

San Paolo, il nostro santo patrono e autore dell’innovativa lettera ai Romani, fu uno dei primi fautori dell’adozione dei Gentili come figli della promessa, proprio come lui stesso, in quanto ebreo zelante e fedele, era stato adottato come figlio di Dio per mezzo di Cristo.

Paolo afferma più avanti nella lettera ai Romani,

“Poiché non avete ricevuto uno spirito di schiavitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di adozione. Quando gridiamo: “Abbà! Padre!” è quello stesso Spirito che testimonia con il nostro spirito che siamo figli di Dio, e se figli, allora eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo, se infatti soffriamo con lui per essere anche glorificati con lui.”[1].”

Giuseppe non ricadde nella paura – timori giustificabili secondo la prevalente saggezza mondana – ma piuttosto accettò qualsiasi sofferenza che potesse derivare dalla sua scelta di adottare Gesù come suo.

E non sono mancate le sofferenze.

Il re Erode avrebbe tentato di uccidere il figlio adottivo e Giuseppe e Maria dovettero diventare profughi per salvargli la vita.

Per non parlare della croce e della sua amara agonia.

Ma la vita che è nata dalla sua fedele scelta, quella vita non ha fine.

Si estende dai nebbiosi recessi di quel sogno, attraverso 2000 anni di storia della salvezza, e si interseca con le nostre vite di oggi.

Ogni giorno ci troviamo di fronte allo stesso dilemma che affrontò Giuseppe: ricadere nelle paure o fare una scelta fedele per adottare il santo sentiero dell’adozione.

Vedere il mondo attraverso una lente di minacce e punizioni, o immaginare e agire come se fossimo tutti figli di Dio indipendentemente dalle nostre radici, degni di cura e considerazione.

Tutti voi che avete fatto delle stime per le donazioni per l’anno a venire e avete partecipato a questa campagna Vivere & Dare avete fatto una scelta fedele di confidare che il provvedimento di Dio è sufficiente… una scelta di confidare che la parola di Dio è sufficiente… e una scelta di confidare che l’adozione questa parte della famiglia di Dio qui a St. Paul e al JNRC permetterà all’influenza e al regno di Cristo di espandersi.

Mentre benediciamo queste intenzioni e continuiamo a vivere insieme come comunità di fede resa possibile in Cristo, e mentre ci avviciniamo alla celebrazione della sua nascita, vi incoraggio a continuare a cercare modi per fare scelte fedeli invece che timorose.

Adottare il Vangelo e il suo modo di essere come tuoi e permettere alla sua vita di modellarti in modi che potresti non essere in grado di immaginare.

Estendere i confini della tua famiglia prescelta, come ha fatto Joseph, per includere i vulnerabili, gli strani e gli inaspettati.

Per fare spazio nella tua anima affinché il Cristo che ci adotta tutti cresca e rinasca.


[1] Romani 8:12-17.